giovedì 29 agosto 2013

Parte ABCAA di Ariano Geta



La vista di una donna è sempre stimolante per un uomo, anche quando è clinicamente morto, o sospeso in coma farmacologico, o in procinto di trasformarsi in uno zombie, o qualunque altra cosa (se sapessi quale esattamente sarebbe meglio, ma ancora non l’ho capito).
Una donna, esatto. Dietro la luce c’era una donna. Una donna di un biancore esagerato: non un biancore di pelle umana, ma addirittura eburneo, come di alabastro vero, marmo per statue. La osservo e dopo un attimo mi viene in mente, ma sì, una figura sacra della mitologia tibetana: una tara.
Non ricordo quale sia il mio nome, però adesso rammento che un tempo lontano, quando ero ancora vivo (o forse in una vita precedente?) leggevo libri sulla cultura e la storia del Tibet. Ce n'era uno che parlava proprio di ciò che accade a una coscienza dopo la morte del corpo, il lungo viaggio verso uno dei sei universi in cui si reincarnerà…
Poi c’era un altro libro con tutta la cosmogonia mitologica, le divinità, i demoni e le creature sovrannaturali, tra le quali le tara
Il primo dei due si intitolava Il libro tibetano dei morti e c’erano anche le istruzioni su come comportarsi per evitare di reincarnarsi nell’universo infernale o in quello delle creature desolate alle quali ogni piacere è negato.
Cioè, cazzo, ricordo tutte queste cose ma non i dettagli importanti! Quali erano le parole da pronunciare per guadagnarsi l’accesso agli universi positivi? Qual è il potere della tara bianca? E soprattutto, qual è il mio maledetto nome?
«Dimentica ogni dubbio».
La tara mi ha parlato. Non ha aperto bocca ma ho percepito il suo messaggio.
«Qui non puoi esitare, devi seguire la tua ispirazione. Se la tua coscienza è giusta, troverai la strada corretta. In caso contrario nulla potrà salvarti”.
«Dammi un’indicazione, te ne prego» provo a supplicarla.
Lei ha ormai assunto una luminosità accecante, l’intero ambiente è un insieme di gradazioni di bianco, luce, bagliori, tratti di opacità comunque chiare. Ma non resto abbagliato, riesco a tenere lo sguardo fisso sul fulgore assoluto della tara e sull’alone delle nuvole che la avvolgono.
«La luce esiste solo perché c’è l’oscurità. L’una ha bisogno dell’altra per palesarsi. Non puoi fermarti nella luce. Raggiungi anche l’oscurità e potrai ricomporre un unità nella tua coscienza. A quel punto dovrai decidere cosa fare».



Questa parte del labirinto è stata scritta da Ariano Geta, gestore del blog omonimo.



Ecco cosa puoi fare adesso...


  • Puoi scegliere come continuare la storia, scegliendo tra uno dei brani qui sotto:
    • Vorrei chiederle altro, ma la luce si fa ancora più intensa per pochi istanti. Quando diminuisce, il bagliore diventa ugualmente diffuso e della tara non vi è più traccia.
      Devo seguire la mia ispirazione, ha detto. Devo giungere all'oscurità.
      Io che vado verso l'oscurità? Mi suona impossibile. Dal più banale timore del buio alla più matura paura per la violenza, mai mi sono sporto verso l'oscurità. Perlomeno credo. In ogni caso ho già constatato che la mia opportunità di scelta è solo astratta.
      Mi guardo attorno. In quel fulgore senza fine, in quella sorta di bianca stanza senza muri o segni, dove avrei dovuto andare? Dov'era l'oscurità? [continua] (vai alla parte ABCAAA di Maria Todesco, clicca sul link)
  •  Se, invece, questa parte non ti ha convinto/a o volevi che le cose andassero diversamente, torna al capitolo precedente  (ti basta cliccare sul link) e scegli un'altra strada o scrivine una.

Forza e coraggio, l'avventura nel dedalo continua!



Attenzione: lo spazio dei commenti qui sotto può essere usato per fare commenti tecnico/stilistici o di gradimento sulla parte in sé, non per scrivere continuazioni. 




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